Un team belga-israeliano ha sviluppato delle molecole in grado di agire da nanoprocessori. Riconosceranno le malattie e rilasceranno il giusto farmaco. I risultati pubblicati su Nature Nanotechnology.
SI AGGIRERANNO nel sangue, pronti a riconoscere la presenza di un virus o di un tumore. E se dovessero incontrarlo, saranno in grado di rilasciare farmaci specifici per contrastare l'infezione o la malattia. Dall'interno, come se fossero pattuglie speciali ricavate dal nostro stesso genoma: in termini tecnici, "circuiti calcolatori a Dna". Al momento i verbi sono ancora al futuro, ma grazie ai progressi della nanobiotecnologia - la disciplina che applica la scienza della vita all'ingegneria su scala nano - un giorno tutto questo sarà realtà. Per quanto ancora agli albori, lo sviluppo dei nanoprocessori bio (piccolissimi computer ricavati da materiale biologico) sta infatti procedendo a ritmi serrati. L'ultima dimostrazione arriva da uno studio pubblicato su Nature Nanotecnology, in cui un gruppo della Hebrew University di Gerusalemme e della University of Liege spiega di essere riuscito per la prima volta a sviluppare una piattaforma computazionale basata sul Dna capace di elaborare risposte complesse data la presenza o l'assenza di una serie di stimoli. Secondo i ricercatori, i risultati rappresentano un modello a partire dal quale nei prossimi anni sarà possibile costruire biocalcolatori sempre più complessi.
Il principio. Per comprendere il funzionamento dei nanoprocessori biologici bisogna partire dal loro mattone di base, il biochip a Dna. Come ogni chip, il biochip è in grado di leggere gli input, ovvero i dati in ingresso, elaborare una risposta e generare un output. Ciò che lo rende estremamente affascinante è il fatto di essere formato da un'unica molecola di Dna, capace di svolgere attività diverse e di interagire con altri biochip per generare risposte complesse. "I biocomputer che abbiamo sviluppato - spiega Itamar Willner, uno degli autori dello studio - riescono a riconoscere i biomarcatori, ossia quelle molecole che identificano con precisione un particolare stato biologico o una malattia. Una volta identificata la molecola target, i biochip interagiscono per elaborare una risposta, e in base ad essa rilasciano un farmaco per bloccare la malattia".
La molecola di Dna. Quando si pensa al Dna, la prima immagine che viene in mente è quella del Dna presente in natura dentro ognuna delle nostre cellule. Una doppia elica che contiene tutte le informazioni necessarie alla vita: parlando nel linguaggio dell'informatica, una specie di hard-disk che descrive come ogni proteina deve essere fatta, quando e in quale quantità. "Negli ultimi anni, però, è emersa una dimensione nuova", spiegano gli autori. "Diversi ambiti di ricerca hanno messo in luce come il Dna abbia tutte le caratteristiche per svolgere anche altre attività, compresa quella computazionale. Se costruito correttamente (ovvero con la giusta sequenza di basi azotate), può infatti riconoscere e legarsi in maniera specifica ai biomarcatori (l'input) e in seguito a tale legame far avvenire una reazione chimica (l'elaborazione del segnale) che porta al rilascio di una molecola (l'output)".
Dal chip al circuito complesso. Il passo successivo è stato l'elaborazione di segnali sempre più complessi, capaci di considerare diverse variabili e portare a conclusioni differenti a seconda della presenza o meno di determinate condizioni. A questo scopo gli scienziati del team belga-israeliano hanno sviluppato un sistema di controllo/elaborazione per fare in modo che le molecole rilasciate dai biochip potessero interagire tra loro e generare una risposta. "La versatilità del nostro metodo - spiega ancora Willner - sta proprio nella modularità dell'elemento base. Assemblando diverse subunità, i biochip possono generare segnali che hanno come esito il rilascio di un farmaco o di un altro in base alla presenza/assenza delle dovute condizioni".
A caccia di malattie. Sebbene, come sostiene Benny Gil del Weizmann Institute of Science in Rehovot (Israele) "saranno necessari ancora anni di ricerca prima di poter vedere questi processori utilizzati come farmaci super-intelligenti, fin da ora le loro possibili applicazioni in campo medico sono impressionanti". Infatti, la capacità di riconoscere i biomarcatori e di conseguenza rilasciare uno o più farmaci rende i nanoprocessori a Dna delle unità autonome potenzialmente in grado di effettuare una diagnosi e somministrare la cura più efficace. Secondo Willer, "la nuova tecnologia potrà svolgere un ruolo determinante nella medicina". "Siamo riusciti a creare un sistema su scala nanoscopica così evoluto da generare risposte complesse", prosegue il ricercatore. "In prospettiva, la speranza è di dare vita a una nuova generazione di farmaci capaci di riconoscere e attaccare le malattie dall'interno".
(LaRepublica)
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