SE UN TEMPO la conoscenza degli antenati avveniva tramite ritratti a mezzo busto o polverose foto in bianco e nero, oggi c'è chi sta lavorando per rendere questo rapporto il più diretto possibile. Dal Giappone agli Stati Uniti, il sogno dell'immortalità - quantomeno digitale - non sembra più così irrealizzabile. Si moltiplicano infatti i progetti per la costruzione di gemelli digitalizzati in grado di trasmettere gli insegnamenti di una vita ai figli dei nipoti dei propri nipoti. L'idea è quella di creare degli avatar - per ora solo computerizzati, in futuro chissà - in cui fare un back up della propria memoria, così da affidargli il compito di prolungare il sé anche dopo la morte.
Passate al setaccio dalla rivista New Scientist, in rete ci sono già diverse compagnie che offrono questo tipo di servizio, noto come "creazione del mind file". Usufruirne è semplice: basta avere un po' di tempo libero, una buona dose di pazienza e la voglia di trasformare in byte i momenti salienti della nostra vita. Il risultato, non sempre garantito, è un alter ego che, pur vivendo nel computer, impara a parlare, muoversi e comportarsi come noi. Non mancano però le aziende che si spingono oltre, prefigurando scenari in cui mind file e bio file si potranno riunire per generare qualcosa di molto simile a un clone biologico.
Il back up della memoria. La creazione (gratuita) del mind file è pratica corrente su siti come Lifenaut e CyBeRev 2. Si tratta di compagnie americane la cui "mission" è esplorare le possibilità di immagazzinamento della vita in rappresentazioni computerizzate realistiche, vale a dire avatar. Lifenaut, ad esempio, consente di caricare in un archivio digitale foto, video e documenti personali che verranno conservati per generazioni. Partendo da una foto preferibilmente inespressiva, il software la anima in modo da farla parlare, ammiccare e sbattere le ciglia. Agli utenti spetta il compito di raccontarsi attraverso test psicologici, autodescrizioni e resoconti vari, il tutto "taggando" a mo' di Facebook luoghi, date e persone.
"In questa maniera - spiegano i responsabili - si aiuta l'avatar a organizzare i suoi/nostri ricordi". E' previsto anche l'inserimento di pezzi di corrispondenza, pagine di diario e contributi di amici e parenti, per far sì che l'alter ego digitale non sia soltanto il riflesso di ciò che si sarebbe voluto essere. CyBeRev, invece, sottopone i suoi clienti a migliaia di domande ispirate all'opera del sociologo americano William Sims Bainbridge. Lo scopo è catturare speranze, valori e attitudini chiedendo alle persone di immaginare il mondo tra cent'anni. "Si tratta di un processo lungo e laborioso", mette in guardia Lori Rhodes, fondatrice di CyBeRev. "Dedicandovi un'ora al giorno tutti i giorni, ci vogliono cinque anni per completare tutte le domande. Sapendo che più si va a fondo nelle risposte, più il mind file sarà una copia fedele della nostra mente".
"Mind file" in presa diretta. Sulla scia di LifeLogger (sistema multimediale di blog e social networking creato da Orientations Network S. B. nel 2004) alcuni programmi si propongono di catturare in presa diretta il fluire di esperienze e ricordi. Un esempio è MyLifeBits 3, il progetto con cui Gordon Bell, ricercatore Microsoft, sta cercando di fermare nel tempo tutto ciò che lo riguarda, dalle telefonate di lavoro alle immagini riprese da una videocamera-ombra che lo accompagna nella sua giornata. Un team della University of Southampton (Regno Unito) si sta ingegnando per raffinare ancora di più questo principio, facendo corrispondere alle istantanee informazioni ricavate dal proprio diario, dai social network e dalle coordinate GPS in il soggetto si è mosso. In prospettiva, i ricercatori vorrebbero riuscire a integrare questi dati con misure fisiologiche, come ad esempio il ritmo del battito cardiaco, così da associare le emozioni ai fatti.
Lavorando sulle facce. Uno degli ostacoli più grandi per arrivare ad avatar "credibili" è la questione dei volti. Come fare a creare un modello in grado di rendere anche solo l'idea delle infinite sfaccettature che compongono un sorriso? A complicare la faccenda è il fenomeno noto come "uncanny valley" (letteralmente "valle perturbante"), termine utilizzato dal pioniere giapponese della robotica Masahiro Mori per descrivere le sensazioni di repulsione e inquietudine che si generano nella mente al cospetto di automi molto simili, ma non del tutto uguali, agli esseri umani.
Come ricorda New Scientist, in questo settore i risultati più alti li ha conseguiti la Image Metrics 4, compagnia californiana specializzata nella realizzazione di volti digitali per film e videogiochi. Partendo da una serie di fotografie ad alta definizione del viso di una persona (ognuna caratterizzata da sfumature emotive diverse), gli ingegneri sono riusciti a estrapolare le differenze numeriche tra un'espressione e l'altra, per poi riprodurle in formato digitale. Lo hanno fatto, ad esempio, con l'avatar dell'attrice americana Emily O'Brien (video). Nel 2008 il suo alter ego digitale è stato presentato al meeting di Los Angeles dell'ACM Siggraph, guadagnando il plauso degli appassionati di animazione e non solo.
Vita in società. Per quanto riguarda le iterazioni sociali, lo studio pilota è Project Lifelike 5, frutto della collaborazione tra University of Central Florida (Orlando) e University of Illinois (Chicago). Dal 2007 un gruppo di ricercatori sta lavorando per costruire un avatar realistico di Alexander Schwarzkopf, ex direttore della US National Science Foundation. Dai dati raccolti è emerso che ciò a cui gli esseri umani prestano più attenzione nel valutare la credibilità di un avatar non sono tanto i dettagli fisici, quanto piuttosto i movimenti idiosincratici che rendono unica ogni persona. Ecco allora che le priorità diventano i piccoli gesti, l'inarcarsi delle sopracciglia, il pendere della testa da un lato in segno di empatia, l'impercettibile flettersi dei muscoli agli angoli del naso.
Un buon avatar, com'è ovvio, deve anche saper parlare con cognizione di causa: di questo si occupano i software di chatbot, programmi in grado di simulare conversazioni basiche tra esseri umani analizzando il contesto. Lifenaut, ad esempio, utilizza Jabberwacky, un tipo di chatbot particolarmente evoluto che adatta il programma al singolo utente. Nato dallo studio di conversazioni tra milioni di persone dal 1997 ad oggi, il software ha vinto due volte il premio Loebner grazie al realismo dei suoi dialoghi.
L'avatar biologico. Il salto da un io digitale che ricorda, parla e racconta a un avatar fisico in carne e ossa appartiene ancora alla fantascienza, ma c'è chi ha già iniziato a pensarci. Generare un essere umano mettendo insieme il "bio file" e il "mind file": è questo, in ultima analisi, l'obiettivo a lungo termine di programmi come Lifenaut. Si tratta di inserire il back up del cervello dentro un clone generato con le proprie cellule. I più motivati possono avviare il processo fin da ora: previa la compilazione di un format, la compagnia manda a casa del cliente una boccetta di collutorio; questi, dopo averla usata, la rispedisce al mittente con un campione della sua saliva, le cui cellule vengono criopreservate in azoto liquido alla temperatura di -197 °C. Trattandosi di un business di dubbio successo - leggi ed etica potrebbero continuare ad esistere anche in futuro - la società si tutela chiedendo un piccolo contributo quotidiano (1 dollaro al giorno) o un pagamento una tantum di circa 9.000 dollari. Bazzecole per chi è disposto a fare follie pur di scappare alla morte.
(LaRepublica)
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