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sabato 12 giugno 2010

Richard Dawkings: L'illusione di Dio.

Il testo “ateo” per eccellenza, la punta di diamante del cosiddetto New Atheism, il più venduto libro “religioso” nel mondo anglosassone nel Natale 2006 esce in Italia con ben dieci mesi di ritardo rispetto alla sua pubblicazione negli USA e nel Regno Unito: se volevamo una conferma del quarto mondo culturale in cui è ormai precipitato il nostro Paese, direi che questa è proprio eclatante. Eppure da quasi un anno tutto il mondo occidentale ne discute appassionatamente, perché L’illusione di Dioè uno di quegli eventi che, lo si apprezzi o no, caratterizzano un’epoca. La sua importanza è tale che, da parte cristiana, sono già stati pubblicati almeno dieci tentativi di confutazione, con un successo notevolmente minore. Non è infatti facile rispondere adeguatamente alla Summa Atheologica di uno dei massimi scienziati viventi. Potrebbe forse tentarvi qualche noto scienziato, ma è dura trovarne di credenti, come le statistiche citate nel libro ampiamente dimostrano.
Almeno un vantaggio (uno) la pubblicazione tardiva l’ha avuto. Il testo appena giunto nelle librerie contiene infatti la prefazione alla seconda edizione, in cui Dawkins risponde alle sette critiche più frequenti da lui ricevute, nessuna delle quali – va subito rilevato – vanno al nocciolo del problema, anche perché sono soprattutto critiche interne al mondo della miscredenza: quasi a dimostrare come la religione, perlomeno nel mondo occidentale, stia venendo progressivamente derubricata da soggetto a oggetto del dibattito culturale. Il rischio, che sul lungo periodo potrebbe rivelarsi concreto, è che a certi livelli sia percepita sempre più come qualcosa di analogo all’astrologia: il cui seguito sarà magari amplissimo, ma i cui esponenti non sono certo invitati alle conferenze accademiche, semmai a Domenica in. È una strategia che la vacuità della Chiesa ruinian-ratzingeriana sembra addirittura perseguire scientemente: il ventennale progetto culturale della CEI ha prodotto molte rivendicazioni economiche e giuridiche, ma nessun testo che abbia inciso nel mondo intellettuale o che abbia sfondato a livello di vendite. Difficilmente potrà essere un caso.
Ma veniamo al libro. I punti fondamentali sono costituiti dai quattro appelli di cui Dawkins parla nella prefazione: la funzione della selezione naturale, la repulsione per i principî religiosi inculcati nell’infanzia, la positività di una visione atea della vita e l’orgoglio che ne consegue conducendo «una vita piena, serena e liberata», una vita che può rendere gli atei «felici, equilibrati, morali e intellettualmente appagati». Non che gli atei abbiano mai pensato il contrario: sono i credenti a farlo. Ebbene, ed è la prima volta che lo scrivente lo trova messo nero su bianco da un autore non religioso, Dawkins afferma esplicitamente che il suo saggio«intende convertire». Da quanto afferma nella prefazione sembrerebbe che qualche risultato l’abbia ottenuto, ma il vero, enorme risultato già conseguito è la vendita di un numero impressionante di copie di un libro che tratta anche di argomenti non sempre semplici (il multiverso, il principio antropico, i memeplessi…). Può esserci riuscito, come sostiene qualcuno, perché ha fatto “moda” (ma se l’ateismo fa moda, please, avvisate subito i mass media italiani): chi scrive è convinto che ci sia riuscito perché possiede una rarissima capacità affabulatoria, che rende piacevole la lettura anche ai non-tecnici. Certo, è improbabile che possa risultare accessibile anche ai devoti di Ganesh o di san Pio da Petrelcina, ma non sono certo questi i destinatari del libro.
Si parlava prima di Summa: non vi sono infatti clamorose novità nel testo. Gran parte delle pagine sono dedicate a temi noti: le ragioni pro e contro l’esistenza di Dio, l’origine della religione, la sua funzione di soddisfare un bisogno di consolazione, l’etica laica, l’incongruità dei testi sacri, l’indottrinamento dei bambini, il fondamentalismo religioso (e la difesa dall’accusa che ne esista uno anche ateo). Il libro è dunque soprattutto un sontuosissimo punto della situazione che parte dallo stato dell’arte della ricerca scientifica: la quale, proprio per avere nell’eredità darwiniana un suo fondamentale punto fermo, suscita le reazioni, scomposte e non, di gran parte dell’establishment religioso del pianeta. Anche Dawkins deve “perdere del tempo” a riepilogare acquisizioni pressoché assodate, ed è costretto a farlo a causa di forsennate campagne denigratorie consentite dagli ingenti finanziamenti di cui godono i creazionisti: di qui le sue continue frecciate che lancia alla John Templeton Foundation, accusata di alterare l’atteggiamento pubblico di molti scienziati nei confronti della fede.
L’argomento contro l’esistenza di Dio a cui l’autore dedica più spazio è quello che lui chiama del «Super-Boing»«un Dio capace di monitorare e controllare in permanenza le condizioni di ogni singola particella dell’universo», di curare simultaneamente «azioni, emozioni e preghiere di ogni singolo essere umano», di «decidere ogni momento di non salvarci miracolosamente quando ci ammaliamo di cancro» non può essere «semplice», come sostengono tanti teologi, ma necessita di una spiegazione«mastodontica» statisticamente improbabile quanto il supposto Creatore. Per questo, scrive Dawkins, si può sostenere che è «quasi certo» che Dio non esiste.
Esiste però la religione. Capire perché è nata non è facile: la tesi su cui maggiormente si sofferma l’autore è che la religione sia un prodotto indiretto della tendenza umana all’obbedienza. «Per effetto negativo della selezione naturale, il cervello dei bambini tende a credere a qualunque cosa dicano i genitori e gli anziani della tribù»: se ciò garantisce loro la sopravvivenza, consente però anche la sopravvivenza e la trasmissione di idee contagiose quali quelle religiose. La tesi è convincente, e trova conferme empiriche anche in altre discipline (ricordate l’esperimento di Milgram?). Perchè poi una religione si imponga, scrive Dawkins, è materia di studio da lasciare agli storici: possiamo però osservare, anche oggi e in vivo, la nascita di alcune religioni, come i cargo cults melanesiani. Oppure guardarci Brian di Nazareth, dove il fenomeno è raccontato in maniera divertente, ma tremendamente efficace.
Come l’obbedienza (e il desiderio sessuale), anche l’altruismo potrebbe essere un «prezioso» errore darwiniano: in ogni caso, è assolutamente inutile cercare di individuare un appiglio grazie al quale i credenti sarebbero moralmente migliori dei non credenti. Soprattutto oggi, quando ai nostri occhi certi comportamenti del passato (magari narrati nei libri sacri) appaiono repellenti: loZeitgeist, sostiene Dawkins, muta sempre più velocemente, e non muta grazie ai teisti. Tuttavia, se certi diritti, come l’eutanasia, faticano a farsi strada, è proprio a causa delle resistenze opposte dai leader religiosi. Eppure sono proprio gli atei, convinti di avere una vita sola, a considerarla preziosa, e a reagire meglio all’approssimarsi della sua fine. La religione potrà anche rappresentare una consolazione, scrive Dawkins, ma questo purtroppo non impedisce a un caro estinto di continuare a essere morto.
L’illusione di Dio conferma dunque il felice momento dell’ateismo: mai così tanti libri, e scritti così bene. Conferma anche l’effetto stimolante suscitato da un libro come Rompere l’incantesimo di Daniel C. Dennett, in particolare nella necessità di sottoporre le religioni a uno studio scientifico e nell’urgenza di combattere la (purtroppo assai diffusa) «credenza nella credenza», che dai tempi di Crizia imperversa senza posa. Per questo, sostiene Dawkins, è necessario che i non credenti si organizzino: negli USA, benché siano numericamente ben più consistenti degli ebrei, «gli atei e gli agnostici non sono organizzati e quindi non fanno sentire la loro voce» (in Italia sì, ma è difficile lo stesso). Forse perché organizzarli è «come tentare di unire i gatti in un branco»? Ma anche i gatti,«se in numero sufficiente, fanno abbastanza rumore da essere notati». Ecco perché in fondo al libro è stato pubblicato un elenco di«indirizzi utili per liberarsi dalla religione», purtroppo limitato al solo mondo anglofono (ma l’UAAR è citata sul più pingue elenco pubblicato sul sito di Dawkins. Troppo anglofone sono anche la bibliografia e le fonti citate, quando il fenomeno editoriale ha raggiunto ormai anche l’Italia (Odifreddi), la Spagna (Savater) e la Francia (Onfray). Qualche incertezza sulla storia della dottrina del peccato originale non sminuisce il valore di un’opera molto importante che non indulge affatto a riflessioni teologiche: fondamentale in ogni biblioteca miscredente che si rispetti, anche se gli agnostici potranno risentirsi per le critiche riservate anche a loro.
Come già accennato, gli studi di una pluralità di discipline stanno concentrando la propria attenzione sul fenomeno religioso, e la progressiva convergenza dei loro risultati sta creando, anche se per ora solo accademicamente, seri danni alla plausibilità della fede. Difficile fare previsioni, ma se il processo proseguirà, forse tra qualche decennio conosceremo una svolta davvero epocale.
Raffaele Carcano
settembre 2007

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